Avete mai riflettuto se il turismo faccia bene al territorio o al contrario lo danneggi? Chi viaggia e soggiorna in determinati luoghi si pone domande su quella che è la realtà locale o è sufficiente che gli venga fornito un contesto omologato a misura di "turista tradizionale"? La pandemia causata dal COVID-19 offre un ulteriore spunto di miglioramento verso un turismo ambientale sempre più sensibile al territorio che lo ospita e di conseguenza a maggiore sostenibilità, in cui gli aspetti peculiari dei centri che si visitano vengono mantenuti e insieme valorizzati. Se anche voi credete che sia più gratificante e virtuoso viaggiare "lasciando un'impronta leggera" nei territori, non vi resta che leggere le considerazioni che Sebastiano Venneri, Responsabile Territorio e Innovazione di Legambiente, condivide in questa intervista.
Il focus della tua attività professionale è il turismo ambientale: che cosa si intende con questo termine e perché ti sei appassionato proprio a questo aspetto dell’industria turistica?
Il turismo ha causato molti danni all'ambiente, come è facile constatare percorrendo i litorali costieri: i peggiori riguardano la cementificazione. Molte, troppe sono le strutture balneari o i villaggi turistici; troviamo abusivismo edilizio lungo le coste, ma anche un eccesso di turismo nelle città d'arte come Venezia, Roma o Firenze. Nonostante questa premessa, io penso che ci sia un turismo che possa fare paradossalmente bene ai territori, che possa avere un effetto di miglioramento su di essi grazie a un approccio ambientale dal quale io provengo e sul quale lavoro ormai da alcuni anni. Ho trascorso una vita all'interno di Legambiente, associazione che rappresento, portando avanti battaglie in difesa dell'ambiente e adesso mi ritrovo in prima linea nel settore turistico, perché ritengo che possa essere un modo alternativo per affrontare il tema della salvaguardia ambientale. Penso che il turismo possa avere un effetto positivo su tanti territori, se ben gestito.
Secondo te come si può quindi migliorare un territorio dal punto di vista del turismo ambientale?
Il tema è molto delicato. Bisogna infatti comprendere che il turismo incide sulle comunità locali in termini di identità e di coesione. Quando penso al “turismo che fa bene al territorio”, penso ai territori che rischiano un forte spopolamento, o a quelli nelle aree interne che già conoscono situazioni di difficoltà dal punto di vista del numero di abitanti e del contesto economico. In questi casi il turismo può fare la differenza; l'importante è fare in modo che questo sviluppo turistico non snaturi completamente quella che è la comunità locale, ovvero evitando quell'effetto di cosiddetta “centrificazione” che caratterizza alcune realtà talmente omologate da non riuscire più a distinguere l'identità locale di quel territorio e facendoti ritrovare in quartieri uguali l'uno all'altro, che vivono solo ed esclusivamente di turismo. In quel caso, il turismo ha stravolto un’intera area. Prendiamo il caso di Venezia e delle pescherie di Rialto. Si tratta del luogo più fotografato a Venezia dopo piazza San Marco proprio perché caratteristico. Nel corso degli ultimi anni, però, le pescherie di Rialto stanno chiudendo perché il turista non compra il pesce, lo fotografa soltanto! Il concetto è chiaro: se mancano i residenti, comincia a venir meno uno di quegli attrattori turistici di Venezia e si arriva al controsenso di "segare il ramo sul quale sei seduto”; a forza di diventare una sorta di "quinta teatrale", la Laguna comincia a perdere quelle che sono le attrattive vere e genuine di un territorio così particolare. Diventa ovvio constatare che se non c'è una base forte di residenzialità e le città cominciano a svuotarsi dei loro abitanti diventando solo un enorme bed&breakfast, i centri urbani perdono paradossalmente il loro appeal turistico. Soltanto sviluppando il turismo su un solido sostrato di comunità locale è possibile trovare un equilibrio. Si sbaglia dicendo che l'Italia potrebbe vivere di solo turismo. Il COVID-19 ha accelerato molti processi e chi ha scommesso il proprio capitale sulla “monocultura del turismo” adesso si ritrova in grandissime difficoltà.
Cosa possono fare i professionisti del turismo per avvicinarsi agli obiettivi della sostenibilità?
Il tema della sostenibilità è diventato finalmente un asset fondamentale per chi lavora nel turismo, un target da porsi a tutti i livelli. Esistono tante realtà, come ad esempio l'Associazione Italiana Turismo Responsabile - AITR, che offrono criteri da seguire e misure da adottare per rendere sostenibile la propria attività, sia che si tratti di una struttura turistica ricettiva, sia che si tratti di un tour operator. Anche Legambiente possiede un proprio disciplinare per le strutture turistiche che vogliono adottare criteri di sostenibilità, con parametri che vanno dal consumo di energia o acqua potabile, alla gestione della cucina e del chilometro zero. Ciò che importa è l'impatto riversato sulla comunità locale: va evitato di lasciare un'impronta troppo pesante sul territorio che si va a visitare. Partecipa a GECO Expo
Chi è, oggi, il turista “sostenibile”? Che tipo di mercato esiste per questo modello di viaggio e come pensi che si evolverà nel prossimo futuro?
È colui che appunto lascia un'impronta "leggera" sul territorio. Il turismo è sempre un fattore di "pressione" su un’area. Il turista deve avere uno sguardo curioso ed entrare in sintonia con il territorio e con la comunità, per tornarsene arricchito pur non avendolo impoverito. Il turismo sostenibile si sta rivelando quello in più forte ascesa, tanto che tutti i famosi big player, da Tripadvisor a Booking, stanno lavorando sui temi di sostenibilità e responsabilità. I turisti ormai sono maggiormente attratti da chi è in grado di presentare un'offerta turistica che coniughi la conoscenza di una regione con i temi della sostenibilità.
È possibile, nel tuo settore, coniugare sostenibilità e ripresa economica?
Secondo me l'unico modo per intercettare la ripresa economica è scommettere sulla sostenibilità, altrimenti sono disponibili soltanto ricette vecchie per situazioni nuove. La vicenda del COVID-19 ci mette davanti uno scenario completamente nuovo per il quale è necessario adottare delle soluzioni innovative. Le crociere e i viaggi aerei sono i settori che hanno sofferto di più e continueranno a patire moltissimo. La situazione pandemica ci sta rivelando che forse, in tema di sostenibilità, alcune proposte erano insensate. Molte compagnie crocieristiche, ad esempio, stanno proponendo viaggi senza scalo nelle città, ovvero portando in giro i turisti in nave come se fossero in un villaggio. Questo è un esempio di soluzione vecchia ad un problema nuovo e molto probabilmente non funzionerà. Tra pandemia e cambiamenti climatici le suddette modalità di viaggio dovranno essere ripensate; non facendo ricorso al "greenwashing”, bensì attuando scelte concrete per l'ambiente. L’Italia in questo senso potrebbe avere un ruolo cruciale, affermandosi come Paese del turismo attivo, cioè quello che si coniuga con la natura, per ritagliarsi così un ruolo in un panorama sempre più internazionalizzato, in cui è però necessario mantenere un forte profilo identitario. Bisognerebbe lasciare un po' da parte quella vecchia percezione del "Belpaese" per avvicinarsi alle nuove generazioni con un’identità rinnovata e sostenibile.
Perché hai scelto di supportare GECO?
GECO è una risposta innovativa, moderna e contemporanea ai recenti problemi che sono stati generati dall’impatto del COVID-19. Poiché è inimmaginabile ritornare a soluzioni passate per affrontare questioni inedite, una fiera virtuale che sfrutta i ritrovati tecnologici in questo settore mi è sembrata una soluzione innovativa e sulla quale scommettere.