L'energia solare è una delle fonti rinnovabili e pulite sulle quali la ricerca sta puntando con maggior decisione per garantire al pianeta un futuro sostenibile. D'altra parte il problema dell'energia è destinato a creare sempre maggiori tensioni: l'esaurimento delle fonti non rinnovabili, i complessi rapporti internazionali che ne derivano e le imposte maggiorate sui carburanti a più alto impatto ambientale dovuti alle politiche disincentivanti messe in atto da molti governi rischiano di far lievitare a dismisura i costi per le forniture elettriche. Perché, dunque, l'intero pianeta non è ancora passato in blocco alle rinnovabili? Dopo tutto il sole è una risorsa infinita (o meglio, tecnicamente non lo è, ma la fine della vita di una stella non è un problema del quale l'umanità si possa preoccupare), così come il vento. In molti hanno anche suggerito di provare a “esportare” l'energia solare dai Paesi nei quali abbonda (quelli a sud dell'equatore) verso quelli in cui scarseggia (i più vicini al Polo Nord). Proprio qui si presenta il principale problema della scalabilità di questo modello. Vediamo perché.
Mentre in buona parte dell'Europa meridionale e in tutta l'Africa l'energia solare sarebbe, sulla carta, sufficiente a garantire l'approvvigionamento elettrico di tutta la popolazione, il Nord Europa vive una situazione assai diversa. In Germania, per esempio, solo il 10% del fabbisogno nazionale è coperto dal fotovoltaico e la colpa non è solo della lentezza con cui l'adozione di questo sistema procede. Lo stesso impianto, infatti, produce in un Paese del Nord Europa circa un terzo dell'energia che produrrebbe in uno dell'Africa centrale.
È stato calcolato che l'energia prodotta da 20.000 chilometri quadrati di pannelli solari in Marocco potrebbe coprire il fabbisogno di tutto il mondo. Perché non abbiamo ancora messo in pratica questa utopia energetica? Perché la sua realizzazione pratica è molto più complessa di quanto non sembri.
Trasportare energia solare - le reti intercontinentali
Le reti elettriche delle nostre città sono sistemi ampiamente collaudati. Dalle grandi colonne con i cavi che fanno parte dei nostri paesaggi da decenni alle centraline locali che distribuiscono l'elettricità ai singoli edifici, sappiamo che un sistema capillare di cavi porta l'energia dalle centrali elettriche alle nostre case, ai negozi, alle colonnine di ricarica delle auto e alle attività industriali. Come dovrebbe organizzarsi un sistema di trasporto simile a livello intercontinentale? Fra l'Africa e l'Europa, precisamente fra il Marocco e la Spagna, ci sono già due cavi sottomarini attivi per il trasporto di elettricità e un terzo è in fase di costruzione e dovrebbe essere attivo dal 2026. Anche quando questo terzo collegamento sarà completato, la loro capacità complessiva non sarà sufficiente a trasportare la quantità di elettricità di cui avrebbe bisogno il continente Europeo. Per poter garantire una fornitura sufficiente, occorrerebbero fra le 500 e le 800 connessioni della medesima portata (700 megawatt), dislocate lungo diverse tratte (per esempio fra la Sicilia e l'Algeria) e con l'aggiunta di strutture di stoccaggio e trasformazione, per una spesa complessiva che si può stimare intorno a circa 480 miliardi di Euro.
Efficienza dell'infrastruttura
Quando si trasporta energia sulle lunghe distanze, una parte del carico si disperde nel trasporto. Per ridurre al minimo queste perdite, si rende necessario trasformare l'elettricità da corrente alternata a corrente continua e le stazioni di trasformazione costituiscono parte dei costi proibitivi dell'intera operazione. Anche trasformata, una parte dell'energia si perde comunque (circa il 3.5% ogni 1000 chilometri), rendendo proporzionalmente meno sostenibile la distribuzione di energia su lunghe distanze, dal punto di vista economico. Questa particolare caratteristica del trasporto di energia rende comunque preferibile massimizzare la capacità di produzione di energia solare in Europa, prima di pensare di poterla importare dall'Africa.
Incertezze nel panorama politico
Nel 2009, l'impresa tedesca "Desertec" si era proposta come pioniera in questo campo, con l'intenzione di portare elettricità dal deserto Africano fino in Germania. Mentre l'iniziativa, alla quale partecipavano grandi aziende tedesche come Siemens e Deutsche Bank, affrontava un dibattito interno sulla fattibilità dell'operazione e sulle questioni logistiche, si verificò quel sommovimento politico che oggi conosciamo come primavera araba e che destabilizzò la situazione politica nei Paesi africani che erano coinvolti nell'impresa. Le aziende partner, che avrebbero dovuto farsi carico del finanziamento, si tirarono fuori dall'intera operazione per timore di perdere i propri investimenti proprio a causa di tale instabilità politica e Desertec naufragò definitivamente. Ancora oggi, l'instabilità politica dei Paesi con i quali si renderebbe necessario stabilire rapporti duraturi rende estremamente difficile pensare a un'operazione internazionale di trasporto dell'energia su larga scala.
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