Il riscaldamento globale è la grande sfida del nostro tempo. Lo ripetono da anni scienziati e attivisti, lo gridano i giovani militanti dei tanti movimenti ambientalisti, lo ribadiscono politici a livello nazionale, europeo e mondiale, eppure sembra sempre che ci siano validissimi motivi per non affrontare questa crisi inarrestabile. L’ultimo “intoppo” in ordine di tempo, ovviamente, è stata la pandemia, che ci ha costretti a mettere da parte i problemi urgenti legati al cambiamento climatico per occuparci di quelli ancora più impellenti derivanti dalla diffusione del Covid-19 e dalla crisi economica mondiale che ne è seguita. Che cosa è successo nel frattempo al pianeta? Quello che si poteva prevedere: nonostante le fragili bolle di ottimismo e le notizie su come il lockdown abbia ridotto l’inquinamento atmosferico,
il pianeta ha continuato a riscaldarsi, arrivando, secondo fonti ufficiali, a una temperatura di un grado superiore alla media dello scorso anno. Siamo ancora in tempo per raccogliere questa sfida?
Le conseguenze del cambiamento climatico e la miopia della grande industria
La scarsa sostenibilità climatica è uno degli atteggiamenti più miopi e pericolosi della grande industria a livello mondiale. Tutti i dati scientifici in nostro possesso, infatti, indicano senza adito a incertezze che
il progressivo riscaldamento del pianeta porterà inevitabilmente a una riduzione delle risorse e degli ecosistemi adatti alla vita umana. Lo scioglimento delle calotte polari (che sta già intaccando il permafrost) causerà un innalzamento del livello degli oceani, con conseguente aumento delle catastrofi naturali, riduzione delle terre emerse e degli spazi abitabili, aumento del numero di sfollati. Intere società oggi prospere e produttive potrebbero convertirsi in catastrofi umanitarie nel giro di pochissimi anni. Il tutto, abbinato all’inevitabile
esaurimento dei combustibili fossili, non può che dipingere uno scenario da incubo per tutti, comprese le realtà industriali che oggi si ostinano a portare avanti pratiche insostenibili in vista di guadagni a breve termine.
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Abbiamo più paura del cambiamento che del cambiamento climatico?
Lo scenario alternativo, quello che vede
un’umanità intenta a lottare contro il cambiamento climatico, invece che a inseguirlo a gran velocità, presenta una serie di vantaggi che vale la pena considerare. Primo fra tutti, ovviamente,
la sopravvivenza a lungo termine degli ecosistemi adatti alla vita umana – che già di per sé dovrebbe bastare a farci muovere in quella direzione. Ma c’è di più:
l’implementazione di grandi sistemi di distribuzione di energie rinnovabili e pulite rappresenterebbe, a livello dei singoli stati e delle imprese internazionali, un motore formidabile per l’occupazione e quindi farebbe da
impulso all’economia tanto a livello locale quanto a livello globale. Lo stesso si può dire per la ricerca sulle fonti rinnovabili.
Il ruolo delle istituzioni
La storia recente ci insegna che il modo più efficace per i governi di implementare e
far implementare politiche industriali sostenibili è l’erogazione di incentivi. Come avviene, ad esempio, in
Italia con il famoso Bonus 110%, gli Stati possono spingere tanto le aziende quanto i privati a fare
scelte sostenibili in tutti gli ambiti – dall’edilizia ai trasporti, dai processi industriali alla gestione dei rifiuti – investendo in sgravi fiscali o supporti finanziari per chi opera in modo virtuoso. Questo sistema tende a funzionare anche meglio rispetto alle sanzioni per chi opera invece in modo scarsamente sostenibile. Quello che possiamo augurarci è che, nello stilare gli inevitabili programmi di supporto alla ripresa dell’economia, tanto i governi nazionali quanto le istituzioni europee considerino prioritaria la lotta al cambiamento climatico e agiscano di conseguenza.